Educare…

Noi pensiamo che educare sia dare norme, regole, castigare, punire… no, niente di tutto questo, niente! Educare è far sentire il bambino atteso, desiderato, far sentire che ne è valsa la pena che è nato, e questo noi possiamo farlo se ogni volta che parliamo con il bambino terminiamo il nostro dire con la parola Tu. La parola Tu vuol dire che rispettiamo la sua dignità, ad esempio si può dire: “Guarda non mi aspettavo questo da te, hai sbagliato qui, qui, qui… sono sicuro che Tu farai meglio, sono sicuro che Tu saprai cosa fare”. Questo Tu è il capolavoro dell’educazione.

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Energia vitale

L’innamoramento è l’energia vitale dell’anima. Lo spazio e il tempo non esistono più, se non nella assolutezza eterna del presente. Lo sguardo dell’innamorato è pieno di luce ed infinito desiderio dell’attesa. È un’attesa che sa di eterno e che sfugge nell’immediato per abitare il cielo delle emozioni. L’innamorato diventa così ricco di emozione e di luce, che dai i suoi pensieri e dai suoi scritti sgorgano fiotti teneri di commozione e di dolcezza. Allora l’incanto prende il posto del tempo e l’eternità diventa di casa: è una breve eternità che contiene l’intenso del paradiso. Ecco perché è impossibile far tacere l’innamorato, perché il tesoro che prova è fatto per donarlo all’amata. L’innamorato ritrova così la sua vera vocazione: essere dono di sé all’altro in un tripudio di gioia. Si, di là, saremo sempre innamorati.

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La donna dell’educare

La grandezza di Maria non sta nelle apparizioni, ma sta nel fatto che lei è stata una donna tutta d’un pezzo, con pazienza e coraggio. Suo figlio, Gesù, era considerato un malfattore, un eretico, un brigante, una persona, insomma, dove per stare con lui bisognava essere dei malfattori, dei delinquenti. Maria ha supportato tutto questo, ha avuto pazienza e coraggio. Pazienza nel credere nonostante tutte le maldicenze, coraggio nel rimanere ferma soprattutto ai piedi della croce nonostante tutto il vento contrario.

Quanto sono stufo di tutte le sue apparizioni, penso che probabilmente, queste apparizioni nella stragrande maggioranza dei casi non sono vere. È arrivato il tempo di dare giustizia a Maria, considerarla nella sua grandezza come una donna tutta di un pezzo, la donna dell’educare.

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La realtà è quella che vediamo?

Tutti ci dicono che la realtà è quella che vediamo, è quella che le cronache ci presentano. Questo è falso per due motivi:

primo: l’85% delle notizie dei telegiornali sono negative e questo è ingiusto, perché sono stati fatti tanti esperimenti, in tanti paesi d’Italia e si è notato che, succedono metà cose belle e metà cose brutte, se fossimo almeno oggettivi dovremmo presentare un telegiornale con metà notizie belle e metà notizie brutte;

secondo motivo: la realtà è quella che noi facciamo esistere. Facciamo un esempio: se io descrivo i difetti di una persona, tutti i difetti, che idea si ha di quella persona lì? Negativa. Se invece descrivo i suoi pregi l’idea è positiva. Ecco, la realtà è quella che facciamo esistere noi, dovremmo diffondere il positivo dappertutto, in poco tempo noi realizzeremo dei circoli virtuosi, dove il positivo e il bene contaminano il mondo.

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L’attenzione è sinonimo di cura

Simone Weil, questa grande filosofa francese, diceva “L’attenzione è la realtà più grande fra gli esseri umani”, si, perché stare attenti è sicuramente una delle capacità più belle dell’umano. Affinché io stia attento è necessario che io sia fuori di me, completamente nella realtà, completamente nell’altro. Allora l’attenzione è sinonimo di cura, di sguardo positivo, di concentrazione di tutto me stesso in quello che sto facendo.

Il primo che avuto l’attenzione nei confronti dell’uomo è stato Dio, che per amore l’ha posto ad esistere. Dio è continuamente attento nei nostri confronti, perché come una madre, ci cura con le sue viscere e manifesta sempre in ogni attimo la sua tenerezza.

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Come litigare bene

Il papa ha detto che bisogna «accarezzare il conflitto». Che vuol dire? – Giovanni

«Il futuro sarà accarezzare il conflitto». Questa frase, pronunciata da Papa Francesco in un suo discorso ai responsabili dei movimenti religiosi, illumina in modo straordinario il percorso per una convivenza più umana e autentica. Infatti il binomio accarezzare – conflitto sembra un paradosso, ma rappresenta una intuizione che è propria dello Spirito Santo, in quanto è valida per l’oggi, per il vissuto contemporaneo.

Proviamo infatti a riflettere su come erano impostati i rapporti nel passato, quando spesso si taceva la propria opinione per paura dell’altro e delle critiche. Spesso, in famiglia, non si aveva il coraggio di esprimere pareri contrari al giudizio del padre o della madre, perché si temeva di mancare rispetto e, se si osava una minima risposta, spesso si riceveva uno scappellotto perché non si obbediva alla autorità costituita.

Anche le istituzioni come la Chiesa, la scuola, la famiglia, erano strutturate sul binomio autorità – obbedienza, come cardine costitutivo della convivenza. Ciò naturalmente aveva i suoi vantaggi in termini di ordine, rispetto, convivenza ordinata e poco turbolenta…

Presentava però anche i limiti perché spesso impediva una creatività insita nelle giovani generazioni che sentivano impellente il bisogno di emanciparsi e di esprimere liberamente il loro pensiero. Un altro limite era caratterizzato dal fatto che talvolta i pareri dei genitori erano errati e si basavano su convinzioni rigide e pre-costituite.

Oggi naturalmente la musica è completamente cambiata. Sembra che parole come rispetto, obbedienza, autorità siano messe al bando e diventate obsolete, per fare spazio a discussioni, al parlare a tutti i costi, ad esprimere tutti i pareri possibili, indipendentemente da chi si ha di fronte. Non è raro infatti assistere a dialoghi ove l’insulto, il linguaggio volgare e scurrile sia frequente, senza il minimo rispetto della persona che si ha di fronte.

Anzi l’assurdo sembra che chi più grida ed usa un linguaggio spinto, venga ascoltato maggiormente. Il risultato però è sotto gli occhi di tutti in termini di aumento della violenza, decadimento dei costumi sociali e mancanza di rispetto verso le persone anziane. Quindi una volta si aveva paura a parlare, oggi non ci si tace più. Una volta gli anziani erano al centro del dibattito, oggi per farsi ascoltare devono scimmiottare i giovani. Una volta il conflitto era raro, oggi il conflitto verbale è di moda.

Eppure il litigio non è del tutto negativo. L’esperienza negativa in assoluto è l’indifferenza, perché testimonia il totale disinteresse verso le persone e le cose. Il conflitto e il litigio contengono qualcosa di positivo, perché se si litiga con una persona significa che ci interessa, che vogliamo discutere e sentire il suo parere. Ma se il litigio deborda in volgarità e sopraffazione, il risultato è pessimo e ci si allontana sempre più.

L’importante allora sarà “litigare bene, accarezzare il conflitto appunto”! Ciò permettere all’altro di esprimere il suo parere, anche discordante dal mio, in modo tale che alla fine, dopo il litigio ci si senta più uniti, più uomini, con una unità d’intenti che, anche se è costata fatica, comprende entrambi, è frutto dello sforzo di tutti. Occorre allora abituarsi a litigare bene, a non tacere il proprio parere, con l’intento però di costruire, di arrivare ad una realtà più grande

Ma come si può fare? Come si può litigare bene? Penso che siano necessari alcuni atteggiamenti:

1) vedere sempre il positivo dell’altro.

2) considerare l’altro come degno di stima, anche se ha pareri differenti.

3) considerare la relazione come la realtà più importante e l’altro come co-essenziale.

4) evitare di denigrare l’altro e introdurre lo “scusarsi” e la tolleranza come cardini del dialogo.

Tutto ciò poi sarà importante per il futuro ove, con la forte immigrazione e con gli scambi culturali sempre più frequenti, l’armonizzazione del vivere e della convivenza dovrà essere costruita con assiduità e determinazione. Quindi “accarezzando i conflitti” riusciremo lentamente ad integrarci, a costruire ricchezze sempre più vere, frutto del dialogo e non di coercizioni od esclusioni.

Forse la grande famiglia universale potrà allora non essere più una chimera o un sogno per ben pensanti, ma una realtà costruita sulla fatica di tanti, sulla sofferenza di molti che credono che il dialogo sia più importante di ogni differenza. Allora la relazione sarà più vera, frutto dell’amore sudato, della “croce di molti” che, alla luce della croce di Gesù, si lasceranno illuminare dal Suo amore affinchè Lui costruisca l’unità dei popoli.

(tratto da https://www.cittanuova.it/esperto/2017/4/4/come-litigare-bene/)

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Due tipi di cromosomi

Quando un bambino nasce ha due tipi di cromosomi. I cromosomi della creatura terrestre, che sono quelli biologici, portati dai genitori, il colore degli occhi, dei capelli e così via. Poi vi sono i cromosomi della creatura celeste, quella creatura che riguarda l’immagine di Dio. Vi sono almeno cinque cromosomi dell’immagine di Dio:

  • l’uomo è relazione, come Dio è relazione
  • l’uomo è programmato per l’amore, come Dio è amore
  • la verità genera gioia e la falsità tristezza, come Dio è pura verità
  • è sempre possibile ricominciare. E questo è un dono di Dio affinché la terra creaturale diventi creatura celeste
  • nell’uomo è depositato un terzo orecchio, ove vive lo spirito, luogo dell’incontro fra lo spirito umano e lo Spirito Santo.

È straordinario quello che Dio ha fatto nel creare l’uomo, il vertice della creazione, la cosa più bella che esista.

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Pensare…

Pensare è tipico degli esseri umani, è come la fonte della vita perché dà la possibilità di prendere decisioni utili o inutili, buone o cattive, per l’uomo o contro l’uomo: allora occorre pensare bene. Pensare bene ha un valore immenso se avviene come opportunità per trovare luci, soluzioni, idee volte al bene, al positivo e al progresso. Se  facciamo così, ci si trova allora immersi in sensazioni ed emozioni che costruiscono l’umano.

Alla fine indipendentemente da quello che si è intuito, che si è pensato, ci si sente bene nella gioia, si sente che ne è valsa la pena essere venuti al mondo. Esercitiamoci allora nei pensieri alti in grado di costruire la fratellanza universale, una fratellanza che può partire dalla testa per arrivare a tutti.

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Sono sfinita: si può vivere sempre di corsa?

«È tutta la settimana che tribolo, lavo, stiro, metto in ordine, vado al lavoro, faccio da mangiare… insomma mi sento un robot e alla fine sono sfinita… non ho più tempo!»

Il tempo oggi è inesorabile. Quante volte capita di arrivare alla fine della settimana con la sensazione di “essere mangiati dal tempo”. Già nell’antica Grecia, il dio Crono mangiava tutti i suoi figli per paura di essere spodestato, così come il tempo (cronos) oggi mangia il nostro vivere rendendoci talvolta sfiniti.

Non si ha più tempo perché troppe sono le cose da fare, troppe le situazioni da vivere. Per non parlare della televisione, dei social, di internet, contenitori pieni di notizie, chiacchiere, avvenimenti, fatti, eventi, uno dietro l’altro, in un tritacarne di sensazioni ed emozioni spesso contraddittorie, tanto che il nostro sistema limbico (quello legato alle emozioni) ne risulta stressato.

La scienza infatti ci dice che il nostro sistema limbico, cioè quel complesso di strutture encefaliche che partecipano all’integrazione emotiva, istintiva e comportamentale, interviene nella regolazione dell’ansia, della paura e dello stress.

Ci sentiamo depressi perché facciamo fatica a regolare il nostro organismo e la nostra vita alla frenesia della cosiddetta modernità, caratterizzata dall’ultima notizia a portata di mano, dal sapere tutto e di tutti, altrimenti si rischia di essere fuori, obsoleti.

Ma in questo modo non si vive più perché ci si sente fagocitati in un mondo che ci vive senza che noi viviamo. Abbiano perso il senso del vivere. E il fatto, talvolta tragico, è che ci sembra di combattere contro un mulino a vento perché ci viene detto che la società è così, che non si può fermare la modernità e che le leggi della complessità sono più grandi di noi.

Eppure una volta si aveva il tempo di vivere e meditare sulle cose, approfondire ciò che ci veniva proposto, pensare a quanto ci veniva offerto. Insomma il tempo, una volta, forse era più umano e maggiormente vissuto.

Oggi sembra che il tempo sia scomparso nel vortice della notizia e nella sensazione della inadeguatezza di fronte alla complessità del vivere. Oggi è il tempo che vive noi. Ci sembra che il tempo sia tiranno!

Che fare?

È arrivato il momento di “prenderci il tempo”, di governarlo. Sì, perché, se riflettiamo bene, constatiamo che il tempo è un dono. Un dono prezioso per ciascuno di noi. Il tempo è l’opportunità, che ciascuno di noi ha, di dare senso a quello che capita e di viverlo intensamente.

Occorre imparare a “prendere le misure” del tempo e sfruttare bene questa opportunità preziosa che ci viene offerta nel vivere. Già molti filosofi, psicologi e teologi hanno approfondito il concetto del tempo nella vita dell’uomo e quasi tutto sono arrivati alla conclusione che “dipende” da noi dare vita al tempo, dargli un senso.

È stata Simone Weil (1909 – 1943 filosofa, mistica e scrittrice francese) a dire che la realtà più bella fra gli esseri umani è l’attenzione, intendendo con questo la forma più rara e pura di generosità. Ma per essere “attenti” occorre essere pronti, avere il cuore pienamente concentrato nell’attimo presente.

Occorre considerare ogni attimo come prezioso, come dono per lasciare la traccia dell’umano amoroso che ciascuno può scrivere. Allora il modo migliore per “governare” il tempo è quello di vivere bene l’attimo presente. Per fare ciò occorre considerare l’attimo presente come un dono raro e prezioso che ciascuno ha, come fosse l’ultimo atto della propria vita, come fosse il suo testamento vitale per gli altri.

Educarci al tempo

Se l’attimo presente è il dono più prezioso che abbiamo, e se occorre imparare a governarlo e viverlo, forse alcuni suggerimenti pratici possono essere d’aiuto per approfittare bene di questo dono:

  • Impariamo a concentrarci su quanto facciamo stando attenti al momento presente
  • Impariamo a pulire la mente cercando ogni volta di dimenticare il passato e di non affannarci per il futuro.
  • Prendiamoci dei momenti in cui possiamo meditare su un buon libro o sul vangelo per dare senso al nostro vivere.
  • Prendiamoci del tempo per una passeggiata, per una gita in montagna o verso un luogo che ci aiuti a prendere in mano noi stessi.
  • Impariamo a tollerare quando non abbiamo vissuto bene il tempo, per riconciliarci con il momento presente.
  • Impariamo a “perdere” tempo per chi lo merita, ogniqualvolta ci sentiamo chiamati verso chi soffre o chi ha bisogno.

Mi sembra opportuno concludere con una meditazione di Chiara Lubich, che ci aiuta a riflettere bene sulla opportunità preziosa del tempo.

Il tempo mi sfugge veloce

Il tempo mi sfugge veloce,

accetta la mia vita, Signore.

Nel cuore il tempo è il tesoro

che deve informare le mie mosse.

Tu seguimi guardami, è tuo

l’amare: gioire e patire.

Nessuno raccolga un sospiro.

Nascosta nel tuo tabernacolo

vivo lavoro per tutti.

Il tocco della mia mano, sia tuo

Sol tuo l’accento della mia voce.

In questo mio cencio, il tuo amore

Ritorni nel mondo riarso

Con l’acqua, che sgorga abbondante

Dalla tua piaga, Signore.

Rischiari divina Sapienza

L’oscura mestizia di tanti,

di tutti. Maria vi risplenda

(Chiara Lubich)

In questo modo il tempo ritorna amico, riflesso del dono immenso d’amore che Dio ha pensato per l’uomo.

(da https://www.cittanuova.it/esperto/2017/2/20/sfinita-si-puo-vivere-sempre-corsa/)

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La Parola inabita in noi

La sofferenza è la realtà più faticosa da vivere per gli esseri umani.

Ci sono due tipi di sofferenze: il primo tipo sono tutte quelle sofferenze che noi procuriamo agli altri o a noi stessi, e queste sofferenze noi dovremmo evitarle.

Il secondo tipo sono le sofferenze della vita, quelle dovute alle esperienze della vita: quando il bambino deve andare a letto e ha paura a separarsi dalla mamma e da sè stesso; quando il bambino deve andare alla scuola dell’infanzia e ha paura a separarsi dalla madre; quando bisogna superare un esame c’è la sofferenza dovuta all’ansia e al timore. Ecco tutte queste sofferenze umane hanno bisogno di una cosa per essere superate, hanno bisogno della Parola. La Parola nutre, sostiene, dà senso, la Parola realizza la persona, è proprio la Parola che aiuta tutte le sofferenze della vita a diventare umane, dando loro un senso contribuendo a maturare la persona. L’importante è che le nostre parole avvengano dopo l’ascolto, che siano il significato pieno del vissuto relazionale.

Gesù è la Parola che dà senso al tutto, perché inabita in noi e ci suggerisce la sua luce.

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